lunedì 16 gennaio 2023

[Recensione] Il castello - Franz Kafka

 


IL CASTELLO || Franz Kafka || Mondadori || 2018 || 364 pagine

In una gelida sera d’inverno l’agrimensore K. giunge in un villaggio dominato da una collina su cui sorge un immenso castello. È la dimora del misterioso Conte, governatore e despota di tutto il territorio. K. intende fare delle terre del Conte la sua casa ed esercitare qui la sua professione: un progetto semplice, ma realizzarlo si rivelerà più arduo di qualunque previsione. Pubblicato postumo e incompiuto nel 1926, Il Castello è un’opera di infinita suggestione che offre una rappresentazione indimenticabile della condizione dell’uomo, schiacciato da un’autorità, divina o terrena, infinitamente più potente di lui e inevitabilmente destinato a non raggiungere mai la propria meta.

RECENSIONE

Un agrimensore arriva in un villaggio governato da un misterioso Conte e si scontra con la burocrazia e con il rigido ordine sociale lì presente.

Recensire questa ultima opera (purtroppo incompiuta) di Kafka non è facile, vista la complessità della vicenda e le mille interpretazioni che ne possiamo ricavare. Il protagonista, K. (non conosceremo mai il suo nome) fin da subito si ritrova addosso mille problemi intanto di accettazione (mettono pure in dubbio che lui sia lì per sbaglio) del suo lavoro, e viene sbalzato continuamente da un luogo a un altro, e la sua presenza è subito vista con sospetto e diffidenza da tutti. Più K. fa domande, più tenta di raggiungere almeno un delegato del Conte, più non ottiene nulla o quasi. E in tutta la vicenda respiriamo un'atmosfera cupa, disorientante, alienante, disturbante a tratti, fino all'assurdo. A me è sembrato come se il protagonista si trova in un labirinto e non ha nessuna speranza di uscirne fuori. Gli abitanti non lo aiutano per nulla, anzi, sono tutti impauriti dal Potere (del Conte, della burocrazia, delle regole, degli ordini, ognuno ci può vedere qualunque cosa) e invece di aiutarlo lo scoraggiano, gli consigliano anzi di andarsene, da solo fastidio la sola sua presenza, figurarsi la presunzione di incontrare il Conte o chi ne fa le veci. Anche quando incontra il sindaco del paese non riuscirà a cavare un ragno dal buco. Durante la lettura non fai altro che respirare un'aria di estraneità, di smarrimento, come se la vita alla fin fine non abbia alcun senso e più combatti per ottenere qualcosa più ti ritrovi punto e accapo. Emerge una forte incomunicabilità col mondo e i suoi personaggi, un'impotenza verso le istituzioni che ti chiudono le loro porte e non ti lasciano alcuna speranza per il futuro anche immediato.

Capisco che a molti questa lettura potrà sembrare ostica, noiosa, inconcludente, ripetitiva, addirittura illeggibile, ma credo sia proprio questa l'idea che l'autore voleva trasmettere, ovvero che è inutile lottare contro il Potere, alla fine vincerà sempre lui e tu rimani sono un inutile e arrugginito ingranaggio che gira da solo.


Riflessione sul fenomeno del libro del principe Harry

Come di consueto, almeno una volta alla settimana mi faccio un giretto in libreria, e la settimana scorsa avevo visto il famoso libro confessione del principe Harry. Ieri ci sono andato e, udite udite, non c'era neanche una copia. Ora capisco che ognuno di noi è libero di leggere qualunque tipo di libro desideri, inclusi quelli di Fabio Volo o di Bruno Vespa, ma il fatto che questo libro in Italia sta letteralmente andando a ruba mi fa riflettere molto e mi fa capire che la storia che gli italiani leggono poco non è proprio vera, visto che appena c'è un fenomeno del momento (ai tempi era Il Codice da Vinci di Brown) tutti si fiondano ad assicurarsene una copia che poi venga letta o meno poco importa, l'importante è prenderla. Non lo so, a me questi fenomeni mi fanno sorridere e sicuramente ai librai e alle case editrici farà piacere guadagnare finalmente qualcosina più del solito, però resta il fatto che io, da lettore maturo e consapevole dell'importanza che la cultura riveste per ciascuno di noi e per la crescita della nostra società civile, mi spaventa. Mi spaventa perché, alla fin fine, quello che colpisce la gente sono gli scandali, i pettegolezzi, le chiacchiere di quartiere, quella morbosa voglia di spiare nelle finestre del vicino, quella voglia malata di capire cosa fanno gli altri nelle proprie mura domestiche. E un po' mi rattrista, perché quando esploderà questa momentanea bolla di celebrità del libro best seller del principino minore, tutto tornerà nella quiete di prima, e le persone che passeggiando vedranno una libreria, invece di entrare per comprare un libro diranno (ho assistito personalmente ieri a questo episodio): "Scusate, vendete penne qua?"

[Recensione] I newyorkesi - Cathleen Schine

 


I NEWYORKESI || Cathleen Schine || Mondadori || 2008 || 285 pagine

Al riparo dal traffico e dal trambusto cittadino dell'Upper West Side, vicino a Central Park, c'è un piccolo quartiere tranquillo, lontano dai grattacieli e dalle residenze importanti. È qui che vivono Jody, Polly, Simon, Everett, e tanti altri. Uomini e donne diversi per età, cultura, professioni, sogni e delusioni, ma accomunati dal fatto di avere un amico: a quattro zampe. E così, complici le passeggiate con i loro cani, persone spesso sole, riservate, talvolta un po' eccentriche, che mai si sarebbero incontrate altrimenti, si conoscono, stringono amicizia o si innamorano, a volte si lasciano. Tutto sullo sfondo di una New York magica e reale al tempo stesso che è la vera, suggestiva protagonista di questo romanzo raffinato e soffuso di lieve malinconia, una città alla quale la Schine dedica in queste pagine la sua più bella lettera d'amore.

RECENSIONE

Come sia finito a leggere questo romanzo non lo so neanche io, perché l'ho trovato davvero per caso e forse complice la copertina ma soprattutto il fatto che sia ambientato a New York mi hanno spinto a leggerlo, perché alla fine noi lettori onnivori siamo spinti sempre dalla curiosità. E ti trovi di fronte a un romanzo corale, dove ci sono diversi protagonisti che ruotano attorno allo stesso quartiere nell'Upper West Side, a due passi da Central Park, e proprio lì le loro vite si intrecciano, perché queste persone hanno tutte una cosa che le lega: hanno un compagno di vita a quattro zampe! E al parco più famoso al mondo si incontrano e fanno amicizia. Così conosciamo Jody, insegnante di musica che ha un pittbull di nome Beatrice, Polly che è redattrice e ha un fratello, George, che fa il barista e il loro cane si chiama Howdy (che in realtà non era loro ma del precedente inquilino dell'appartamento che purtroppo era morto e lo aveva lasciato lì da solo, povero cucciolo!), poi abbiamo Geneva, amica di Polly, Emily la figlia di Everett che fa girare la testa a Jody, Doris l'insegnante di matematica che ha un SUV e odia i cani (soprattutto quando trova la pipì sul marciapiede dove ha parcheggiato il suo macchinone), e altri personaggi più o meno secondari.

E poi la vera protagonista rimane naturalmente New York, piena di contraddizioni e di cose strane, ma sempre una delle città anzi metropoli che continua ad affascinare ognuno di noi. La storia che si srotola ai nostri occhi ha una certa leggerezza, nulla di speciale, l'autrice ci narra le vite di persone semplici, che si innamorano e si lasciano, che attraversano le difficoltà che la vita ci presenta, che ridono e piangono, insomma, ognuno di noi potrebbe tranquillamente rispecchiarsi in loro.

La cosa che mi ha lasciato perplesso sin dall'inizio è stata il fatto che non c'è un solo protagonista e con l'avanzare della lettura un po' ti disaffezioni ai diversi protagonisti, perché poi devi ricordare quello che ha fatto l'altro e nel frattempo rimane in sospeso l'altro ancora eccetera. Per il resto senza lode ne infamia, come si suol dire. Ma se amate New York e i cani allora dovete leggerlo.