lunedì 7 giugno 2021

[Recensione] Casa d'altri - Silvio D'Arzo

 


CASA D'ALTRI || Silvio D'Arzo || Einaudi || Gennaio 2007 || 142 pagine

In gioventù, lo chiamavano Doctor Ironicus per la sua intelligenza sottile; oggi, il protagonista di Casa d'altri non è che un "prete da sagre", confinato in un paesino della provincia emiliana dove non succede mai niente e dove "appaiono strane anche le cose piu ovvie". Zelinda, però, una vecchia che passa le sue giornate a lavare i panni al fiume, senza avere alcun contatto con la gente, cosi ovvia non è; e non è ovvio neppure il tentativo di comunicazione che cerca di instaurare con il prete, interrogandolo vagamente sulla legittimità di derogare a una "regola" della Chiesa cattolica. Quale, lo si scoprirà soltanto alla fine: quando il Doctor Ironicus, lo spirito arguto del seminario a cui il paese sta stretto, non saprà dare alla vecchia che una risposta convenzionale e inadeguata. Lo stesso senso di inadeguatezza si ritrova negli altri racconti: da Elogio alla signora Hadier, dove la protagonista, morto il marito, si chiude in una quieta infelicità, ai Due vecchi la cui serenità coniugale è turbata dal ricatto di uno studente. La raccolta comprende, oltre ai racconti usciti nei "Nuovi Coralli" di Einaudi nel 1980, anche alcuni testi apparsi per l'ultima volta nel 1960 presso Vallecchi e ripubblicati qui in una versione filologicamente aggiornata: un ciclo narrativo completo in cui Silvio D'Arzo descrive la solitudine dell'uomo, la sua condanna a vivere il proprio tempo e il proprio posto come "casa d'altri": senza rinunciare all'ironia e alla consapevolezza che nemmeno la disperazione permette alla vita quotidiana di essere meno "monotona" o "ridicola".

RECENSIONE

Questo sconosciuto autore italiano, in arte Silvio D'Arzo, vero nome Ezio Comparoni, mi ha sorpreso, soprattutto leggendo e gustando il suo più importante racconto di questa raccolta, ovvero quello che da il titolo al libro: "Casa d'altri". Qui solitudine, isolamento e diversità sono i tre temi principali in cui ruota il racconto e dove i protagonisti sono due: un prete di montagna in piena crisi e una vecchietta lavandaia che non desidera altro che suicidarsi. Siamo a Montelice, un paesino montano della provincia emiliana, abitato da pochissime persone, ed ecco come ce lo descrive l'autore:
Sette case addossate..due strade, un cortile che chiamano piazza,uno stagno e un canale e montagna quanta ne vuoi. Che fanno qui a Montelice? vivono e basta e poi muoiono..qui non succede niente di niente…gli uomini al pascolo..le donne a far legna..in strada una vecchia o una capra o nemmeno quello..l’inverno dura mezzo anno. due mesi continui di pioggia, due tre mesi di neve-neve. non succede niente di niente solo che nevica e piove e la gente nelle stalle a guardare la pioggia e la neve come i muli e le capre.
C’ è un tempo della narrazione che è tre-quattro anni dopo la seconda guerra mondiale e c’è uno spazio al di là di quelle sette case, i cui colori si ripetono come un ritornello..un po’ come la pioggia gialla:
L’aria fuori viola e viola i sentieri e l’erbe dei pascoli e i calanchi e le creste dei monti…c’è quassù una certa ora. I calanchi si fanno color ruggine vecchia e poi viola, e poi blu..le capre si affacciano agli usci con degli occhi che sembrano i nostri. E non c’è sole nè luna nel cielo
E invece dell’assoluta solitudine di Andrés c’è la solitudine di Zelinda con la sua spietata, bestiale vita di stenti, non diversa da quella della capra che le sta sempre accanto giù al canale, dove in ogni stagione lava stracci e budella, ogni giorno fino a sera.
La storia è fatta di niente, eppure potrebbe essere “un giallo esistenziale”, “un giallo dell’anima”, perchè c’è un mistero da svelare nel rapporto che si stabilisce tra la donna e il vecchio parroco del paese, ridotto ad essere “un prete da sagre e nient’altro”
Zelinda in questa tragica vita di stenti cerca una via d’uscita dal mondo, vuole l’autorizzazione a morire come un gesto di carità ” se senza far dispetto a nessuno potesse avere il permesso di finire un po’ prima..anche uccidersi “ La tragedia del vivere, la consapevolezza dell’impossibilità del vivere e la fede, il sentimento religioso: uccidersi e non trasgredire.
Una vecchia con una terribile domanda e un prete con il suo silenzio ” da provare vergogna per tutte le parole del mondo”
In un dattiloscritto del racconto, di cui esistono diverse redazioni, D’arzo ha aggiunto a penna:”il mondo non è casa tua; a te sembra di starci a dozzina” e in emiliano significa “starci in prestito”.