martedì 20 luglio 2021

[Recensione] Diario di un parroco di campagna - Georges Bernanos

 


DIARIO DI UN PARROCO DI CAMPAGNA || Georges Bernanos || Mondadori || 1 luglio 2002 || 239 pagine

« L'uomo che ha accettato una volta per sempre la terribile presenza del divino nella sua povera vita », cosi Bernanos definisce il protagonista del suo Diario di un curato di campagna: questa disarmata figura di prete cattolico che si consuma fino al limite della tentazione nell'impari lotta con il male impersonato dalla tragica opacità del mondo borghese di uno sperduto villaggio della Fiandra. Egli non deve salvare soltanto se stesso ma anche le anime dei suoi parrocchiani che gli sono ostili, o lo accettano passivamente trascinandolo nelle loro ipocrisie. Giunge fin quasi al punto di abiurare, ma proprio sull'orlo della perdizione la coscienza della morte vicina lo salva. « Un corpo a corpo fra il soprannaturale e il mondo; ma il mondo non è mai stato sentito da Bernanos con una comprensione più potente e più tenera », cosi scrisse André Rousseaux del Diario di un curato di campagna, un romanzo che ha in sé fin dalle prime pagine una carica drammatica che si va facendo via via sempre più febbrile e compressa ed esplode poi, ad un tratto, in tutta la sua pienezza dinnanzi all'illuminazione.

RECENSIONE

Dopo sei anni ho riletto con piacere questo bel romanzo di Bernanos, dove ci descrive la vita e i turbamenti di un povero prete di campagna ammalato. E proprio la malattia sta al centro della storia: essa si presenta in varie forme: come noia esistenziale; come malattia in sé; come inettitudine. Il sacerdote protagonista non è capace di integrarsi in un mondo dominato dal denaro, dalla borghesia, dall'idea che la ricchezza equivalga al potere. Ma questa malattia è anche nell'anima: egli non si sente mai integrato. E la forma di diario che ci presenta Bernanos è una scelta voluta, perché sottolinea la lotta interiore che questo giovane sacerdote affronta. La scrittura è vista come un processo artificiale e artificioso, che si oppone alla preghiera, vista come spirito di pura accettazione. Se pregare significa abbandonarsi totalmente a Dio, alla sua volontà, e quindi accettare qualsiasi esperienza, scrivere al contrario significa affermare il proprio valore umano, dare la parola ai demoni della rivolta e della disperazione.
"Mentre scribacchio sotto la lampada queste pagine che nessuno leggerà mai, ho il presentimento di una presenza invisibile che sicuramente non è quella di Dio - piuttosto quella di un amico fatto a mia immagine, benché distinto da me. Di un'altra essenza... Ieri sera, questa presenza mi è diventata d'un colpo così tangibile che mi sono sorpreso a sporgere la testa verso non so quale ascoltatore immaginario..." (p. 29);

 Rispetto al dottor Delbende, al dottor Laville e al signor Dufréty, il parroco di Ambicourt accetta la propria diversità, la propria condizione di diverso. Questo carattere distintivo si manifesta fin dalla prime pagine del diario: il parroco guarda la propria parrocchia e sente confusamente che essa non gli apparterrà mai completamente:

 "Quanto è piccolo un paese! E questo paese era la mia parrocchia. Era la mia parrocchia, ma non potevo niente per lei, la guardavo tristemente inoltrarsi nella notte, scomparire... Qualche momento ancora, e non l'avrei più vista. Non avevo mai sentito così crudelmente la sua solitudine e la mia (p. 6).

Nonostante questa consapevolezza ciò non gl'impedisce di dedicarsi completamente alla propria missione. È in questo che si vede, soprattutto, la grandezza del personaggio.