sabato 9 marzo 2024

[Recensione] Ferito a morte - Raffaele La Capria

 


FERITO A MORTE || Raffaele La Capria || Mondadori || 2016 || 238 pagine

«Testimonianza vibrante di quegli irripetibili anni Cinquanta napoletani e italiani – teneri e sfacciati, avviticchiati e svaniti come i giri di un cavatappi – e fedelissima alle loro sfumature più dolorosamente superficiali ed effimere, Ferito a morte è anche un classico. È un libro straordinario, che fonde perfettamente natura e storia, coerenza strutturale della costruzione narrativa e impalpabile poesia del fluire della vita, percezione sensibile e critica politica, l'istante atemporale dell'epifania esistenziale e la storicità (entrambi incarnati in una Napoli mitica e reale), pessimismo e felicità, compresenti nel cuore come nella seduzione del mare, fisicità immediata e riflessione.» Claudio Magris

RECENSIONE

Ci sono delle letture che ti fanno male, come il titolo ci suggerisce, è questo testo ne è un esempio: ti ferisce a morte. Cosa ti ferisce? La consapevolezza che quando si è giovani tutto è possibile, credi di poter toccare il cielo con un dito, di poter conquistare il mondo, di poter fare qualsiasi cosa. E poi ti accorgi che hai un nemico alle spalle, che ti presenterà il conto prima o poi e di cui non potrai mai sbarazzarti: il tempo. Il tempo scorre, inevitabile, lentamente o velocemente a seconda delle sensazioni, e ti ruba la giovinezza una volta per sempre. Ciò che un tempo ci faceva divertire e volare, quando diventi grande ti porta alla noia. E qual è la migliore occasione che tutti ricordiamo di quando eravamo felici e spensierati? Le estati al mare coi nostri amici, naturalmente.

Personalmente questa lettura mi ha spiazzato, ma credo sia l'intenzione dell'autore: c'è tutto, un mix di flash back, di ricordi, di desideri non realizzati, di flussi di coscienza, al punto che la trama scompare e ti rimangono le sensazioni, perché questa è una tempesta di sensazioni.

Il protagonista è un ragazzino che deciderà di andare via da Napoli e per poi ritornarvi ormai da adulto. Il ferito a morte si riferisce a una cotta, a un colpo di fulmine che Massimo avrà da ragazzino e che lo segnerà per sempre. Ci viene descritta una Napoli ricca di vita, di voci, di caos, una città che è sia un rifugio che un punto di fuga. Sarà lo sguardo di quella ragazza, di quell'amore mai corrisposto a continuare a tornare alla mente di Massimo, a continuare a ferirlo nonostante sia ormai diventato un uomo adulto, e questa malinconia del passato è molto presente. La spigola che il ragazzino prova a prendere nell'incipit ma che gli sfuggirà già ci presenta quella che sarà la delusione di quella cotta, di quella storia che non nascerà.

Purtroppo io non amo molto le narrazioni che sono un unico flusso di coscienza e per questo la storia non mi ha segnato tanto. Ritengo sia davvero difficile descrivere questo libro, ricco di sensazioni, di poesia, di anime alla ricerca (di piacere o di un senso di vita), di ricordi, di luci e di ombre. Sicuramente è un testo che riprenderò in futuro, che comunque ha bisogno di più letture per essere compreso appieno.

Ha vinto il prestigioso Premio Strega nel 1961.


lunedì 4 marzo 2024

[Recensione] Le sabbie di Marte - Arthur C. Clarke

 


LE SABBIE DI MARTE || Arthur C. Clarke || Mondadori || 2014 || 203 pagine

La prima nave di linea regolare fra i pianeti, l'Ares, è al suo viaggio inaugurale. Porta su Marte, tra gli altri, lo scrittore di fantascienza Martin Gibson, che sarà testimone delle dure lotte dei pionieri per colonizzare il pianeta: un mondo quasi privo di vegetazione e poverissimo di ossigeno, sul quale uomini coraggiosi combattono per rendere migliore quella che considerano la loro nuova patria. Pubblicato nel 1951, dieci anni prima del volo di Gagarin, e già l'anno seguente tradotto in Italia per inaugurare la gloriosa collana "Urania", "Le sabbie di Marte" è un romanzo visionario e avvincente che ha saputo anticipare gli sviluppi tecnologici e scientifici dei decenni successivi. Clarke dimostra di essere non solo uno straordinario profeta dei viaggi spaziali, ma anche, e soprattutto, un grande scrittore, capace di restituirci con mirabile immediatezza la suspense e l'emozione del viaggio di esplorazione, la piccolezza delle ambizioni umane trapiantate sul nuovo pianeta e la grandezza d'animo dei pionieri della colonizzazione marziana.

RECENSIONE

Finalmente riesco a leggere il primo romanzo pubblicato dalla collana Urania - che da poco ha spento le 70 candeline e si conferma la collana di fantascienza in Italia più longeva -, ovvero Le sabbie di Marte (The Sands of Mars, 1951) di Arthur C. Clarke.

Uno dei sogni dell'uomo è sempre stato quello di spingersi oltre, di superare l'ignoto, sia geografico che spirituale. In questo caso Clarke ci parla di una spedizione di astronauti che arrivano su Marte, il pianeta che in molti romanzi di fantascienza l'umanità ha tentato di terraformare per poterci anche abitare come una sorta di seconda Terra (che poi non è un'idea tanto campata in aria, visto che ci sono interessanti e seri studi su questa ipotesi). E atterrato sul pianeta Rosso il protagonista, uno scrittore e giornalista, proverà a documentare tutti quei passi in avanti che gli uomini, ormai divenuti marziani, stanno compiendo per appunto rendere abitabile quel misterioso pianeta pieno di sabbie rosse. 

Che dire, leggere questo romanzo, uno dei primi mi pare di Clarke, ti fa emozionare, soprattutto perché traspare il sense of wonder dell'autore che aveva negli anni 50, emerge quell'ottimismo che si aveva nella tecnologia come strumento per migliorare il mondo e l'umanità (oggi, purtroppo, si ritorna a parlare di bombe atomiche e sembra davvero che l'uomo non impari mai dai suoi precedenti "errori"). Clarke è sempre una garanzia, anche se il suo stile ancora risulta acerbo rispetto alle opere che scriverà successivamente, ma godibile ugualmente. 

Se ve lo state chiedendo ve lo dico: sì, ci sono anche i marziani originali.


sabato 17 febbraio 2024

[Recensione] I diamanti sono per sempre - Ian Fleming

 


I DIAMANTI SONO PER SEMPRE || Ian Fleming || Adelphi || 2014 || 247 pagine

Chi conosce i libri di Ian Fleming sa che l'agente 007, in realtà, indaga sempre e soltanto sulle ossessioni private del suo autore. Come, qui, il commercio internazionale di diamanti, che Flem­ing scoprì leggendo un lungo pezzo uscito nel 1954 sul «Sunday Times» a proposito di un traffico di preziosi fra New York e la Sierra Leone (gli stessi set del romanzo), e poi dedicandosi quasi per un anno a ricerche e interviste negli Stati Uniti. A leggerlo bene, I diamanti sono per sempre è quindi una specie di reportage romanzesco, e una delle sorprese che ci riserva sono le maniacali descrizioni di bar, ristoranti, alberghi, motel, autostrade, deserti americani: polaroid estremamente nitide, che messe l'una accanto al­l'altra raccontano un sogno che poco a poco si trasforma in un incubo – ad a­ria condizionata. Poi arrivano le sorprese che in fondo ci aspettiamo, come i crudeli rituali e le infernali macchinazioni della malavita americana, ricostrui­ti con la demoniaca precisione cui Fleming ci ha abituato. Un quadro già complesso, ma quando entra in scena la Bond Girl più spiccia e sentimentale di tutte, Tiffany Case, le cose si complicano quasi troppo – persino per Bond.

RECENSIONE

Stavolta il nostro agente segreto 007 James Bond viene inviato in America, precisamente a Las Vegas, dove indagherà su un commercio di diamanti (sintetizzando molto). 

In questa quarta avventura di Bond (li sto leggendo in ordine cronologico) ritroviamo i nemici, la bond girl di turno, e il cattivo che si è costruito un paese stile western con tanto di stazione e locomotiva personale. E poi l'immancabile casinò, corse di cavalli truccate, sparatorie durante la seduta ai fanghi, ma stavolta ho trovato un Bond sottotono, come se fosse stato costretto a portare a compimento quella missione per ritornarsene subito nella sua amata Londra. 

Direi che stavolta ci serve una licenza non per uccidere, ma per annoiarci di meno.




sabato 10 febbraio 2024

[Segnalazione] Elizabeth Finch - Julian Barnes

Affascinante senza essere manipolatoria, rigorosa ma mai dogmatica, elegante seppure austera, irriducibilmente anticonvenzionale, eternamente sfuggente: così è Elizabeth Finch, docente del corso di «Cultura e civiltà» al college. Il suo carisma e la forza delle sue idee sono destinati a segnare per sempre il modo di pensare dei suoi studenti. O almeno di uno di essi. Questa è la storia che lui ci racconta. Ma, come direbbe Elizabeth Finch, «travisare la propria storia è parte dell'essere una persona». Il «Re dei Progetti Incompiuti», secondo la definizione della figlia adolescente, Neil si porta appresso un bagaglio di insuccessi lungo una vita: un'ambizione attoriale frustrata, due matrimoni falliti. Ma a quella prima lezione del corso di «Cultura e civiltà», tanti anni prima, il giorno in cui fece la conoscenza della docente Elizabeth Finch, Neil ebbe la sensazione di essere arrivato, per una volta, nel posto giusto. Sobria nell'abbigliamento, esatta nel dire e cristallina nel pensare, fumatrice incallita e insofferente del comune sentire, Elizabeth Finch – EF per la classe – incuneò fin da subito il grimaldello del libero pensiero nelle quiete coscienze dei suoi studenti, mai trattati come «oche all'ingrasso» da infarcire di nozioni, ma coinvolti in un continuo processo socratico di collaborazione, spesso caustico ma mai sprezzante, e fatalmente fertilizzato dall'elisir del carisma. Impossibile, per i discenti, non perdersi in congetture sulla sua inespugnabile vita privata e non restare colpiti dalle sue idee sulla Creazione: «Il mondo è male organizzato, perché Dio l'ha creato da solo. Avrebbe dovuto consultare qualche amico: uno il primo giorno, un altro il quinto, un altro il settimo, allora sì che sarebbe stato perfetto», sull'amore: «Esiste una parola più mistificante, abusata, fraintesa, più estensibile a livello di significati e di propositi, più contaminata dagli sputacchi di miliardi di lingue bugiarde, della parola "amore"? E c'è qualcosa di più scontato che lamentarsi di tutto questo?», sul pensiero unico: «Monoteismo. Monomania. Monogamia. Monotonia. Niente di buono inizia con questo prefisso», o su ogni altra area del sapere e del sentire, antico e moderno. Odiarla o amarla, non c'è alternativa. Neil rientra da subito nella seconda categoria, e vi rimane per decenni dopo la fine del corso, sposando il suo metodo critico e infine facendosi carico del suo progetto incompiuto: quello sulla figura di Flavius Claudius Julianus, ovvero Giuliano l'Apostata, l'ultimo imperatore romano non cristiano, la cui sconfitta in battaglia determinò l'instaurarsi a Roma del monoteismo ai danni di tutte le altre religioni e dunque, a detta di EF, la chiusura della mentalità europea e la fine della gioia. Neil ha ormai i capelli grigi quando si addentra nelle carte della sua antica maestra e forse amica, in cerca di verità mai svelate. Eppure Elizabeth Finch l'aveva avvertito fin dall'inizio: «Artificio, rigore, verità. Artificio non come opposto della verità ma spesso come sua manifestazione, ciò che lo rende irresistibile».

Dal 9 gennaio 2024 in libreria.

L'AUTORE

Julian Barnes è nato a Leicester. Vincitore del Somerset Maugham Award, il Prix Médicis, lo Shakespeare Prize, l'Ordre des Arts et des Lettres, il David Cohen Prize for Literature e il Premio Malaparte, con Il senso di una fine ha vinto il Man Booker Prize 2011. Fra le sue opere, tutte in corso di pubblicazione per Einaudi, sono a catalogo: Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2, Oltremanica, Amore, ecc., England, England, Amore, dieci anni dopo, Arthur e George, Il senso di una fine, Evermore, Livelli di vita, Il pappagallo di Flaubert, Metroland, Il rumore del tempo, Il porcospino, Prima di me, L'unica storia, Guardando il sole, Con un occhio aperto, Il pedante in cucina, L'uomo con la vestaglia rossa, Niente paura e Elizabeth Finch.

venerdì 9 febbraio 2024

[Segnalazione] Alma - Federica Manzon

Tre giorni dura il ritorno a Trieste di Alma, che dalla città è fuggita per rifarsi una vita lontano, e ora è tornata per raccogliere l’imprevista eredità di suo padre. Un uomo senza radici che odiava il culto del passato e i suoi lasciti, un padre pieno di fascino ma sfuggente, che andava e veniva al di là del confine, senza che si potesse sapere che lavoro facesse là nell’isola, all’ombra del maresciallo Tito “occhi di vipera”.A Trieste Alma ritrova una mappa dimenticata della sua vita. Ritrova la bella casa nel viale dei platani, dove ha trascorso l’infanzia grazie ai nonni materni, custodi della tradizione mitteleuropea, dei caffè colti e mondani, distante anni luce dal disordine chiassoso di casa sua, “dove le persone entravano e se ne andavano, e pareva che i vestiti non fossero mai stati tolti dalle valigie”. Ritrova la casa sul Carso, dove si sono trasferiti all’improvviso e dove è arrivato Vili, figlio di due intellettuali di Belgrado amici di suo padre. Vili che da un giorno all’altro è entrato nella sua vita cancellando definitivamente l’Austriaungheria. Adesso è proprio dalle mani di Vili, che è stato “un fratello, un amico, un antagonista”, che Alma deve ricevere l’eredità del padre. Ma Vili è l’ultima persona che vorrebbe rivedere.I tre giorni culminanti con la Pasqua ortodossa diventano così lo spartiacque tra ciò che è stato e non potrà più tornare – l’infanzia, la libertà, la Jugoslavia del padre, l’aria seducente respirata all’ombra del confine – e quello che sarà.Federica Manzon scrive un romanzo dove l’identità, la memoria e la Storia – personale, familiare, dei Paesi – si cercano e si sfuggono continuamente, facendo di Trieste un punto di vista da cui guardare i nostri difficili tentativi di capire chi siamo e dov’è la nostra casa.Lei non saprebbe dire dove sta la sua appartenenza, neanche la sua città lo si è pensata sempre parte di una nazione che non era la sua, immaginava l’Austria, sognava il regno degli slavi, e perfino la nazione garibaldina, ma poi è rimasta estranea a tutto e soprattutto a se stessa.

Dal 16 gennaio 2024 in libreria.

L'AUTRICE


Federica Manzon (Pordenone, 1981) ha pubblicato i romanzi Come si dice addio (2008) e Di fama e di sventura (premio Rapallo Carige 2011 e premio Selezione Campiello 2011). Nel 2015 ha curato il volume I mari di Trieste (Bompiani). Con Feltrinelli ha pubblicato La nostalgia degli altri (2017).

giovedì 8 febbraio 2024

[Segnalazione] Le piccole storie della locanda Kamogawa - Kashiwai Hisashi

Nelle stradine di Kyoto si alternano rivenditori di tonache buddiste, botteghe di souvenir, palazzi di uffici. Poi, in un vicolo di Shomen-dori, c'è il ristorante un luogo caldo, appartato. Un posto dove riassaporare i propri ricordi. Dopo Le ricette perdute del ristorante Kamogawa, il secondo, stupefacente capitolo dei detective del Kamogawa Nagare e sua figlia Koishi. Onodera aprí la porta e, facendosi piccino, si rivolse a una ragazza.- Mi scusi, è questo il ristorante Kamogawa?- Sí, vuole pranzare?- Volentieri, ma sarei qui per un'indagine, - replicò Onodera, porgendole il suo biglietto da visita.- Si accomodi, signor Onodera. Mi chiamo Kamogawa Koishi e sono a capo dell'ufficio investigativo, - si presentò la giovane con un lieve inchino. - Del pranzo se ne occuperà mio padre.

A gestire il ristorante Kamogawa, ormai da anni, ci sono un padre e una figlia, conosciuti a Kyoto come gli investigatori degli enigmi culinari, poiché abilissimi nel rintracciare gli ingredienti perfetti per i piatti del cuore di ogni come Kitano Kyosuke, nuotatore olimpionico ossessionato dal bento all'alga nori preparatogli dal padre ogni giorno; o Takeda Kana, giornalista gastronomica che vorrebbe scoprire il segreto del cibo preferito di suo figlio, all'apparenza un semplice hamburger; oppure Onodera Katsuji, che sogna di mangiare ancora una volta la soba cinese che ordinava a una bancarella e rivivere cosí certi istanti della sua giovinezza. Tra tofu, germogli di bambú, tè matcha, alga wakame e decine di altri sapori, sarà lo chef Nagare ad aiutarli, scovando le ricette che cercavano e gettando una luce tutta diversa sui momenti piú significativi delle loro vite.

Dal 16 gennaio 2024 in libreria.

L'AUTORE

Kashiwai Hisashi è nato nel 1952 ed è cresciuto a Kyoto. Ha lavorato come giornalista e consulente televisivo. È autore della serie sul Ristorante Kamogawa, composta da sette libri e da cui è stata tratta una serie tv. Per Einaudi ha pubblicato Le ricette perdute del ristorante Kamogawa (2023) e Le piccole storie della locanda Kamogawa (2024).

mercoledì 7 febbraio 2024

[Recensione] La prima indagine di Montalbano - Andrea Camilleri

 


LA PRIMA INDAGINE DI MONTALBANO || Andrea Camilleri || Mondadori || 2004 || 340 pagine

Montalbano ha trentacinque anni, è un uomo adulto, ma nella professione sconta ancora qualche ingenuità, non è così astuto, smaliziato come siamo abituati a conoscerlo. E c'è chi è pronto ad approfittarne... L'archeologia di Montalbano e le sue prime esperienze nel mondo del crimine narrate in tre lunghi racconti.

RECENSIONE

Montalbano ha trentacinque anni, è un uomo adulto, ma nella professione sconta ancora qualche ingenuità, non è così astuto, smaliziato come siamo abituati a conoscerlo. E c'è chi è pronto ad approfittarne... L'archeologia di Montalbano e le sue prime esperienze nel mondo del crimine narrate in tre lunghi racconti, dal titolo Sette lunedì, La prima indagine di Montalbano e Ritorno alle origini. Qui troveremo Montalbano all'inizio della sua carriera, che intreccia una relazione non con la ben nota Livia, ma con una certa Mery; e il teatro delle sue indagini non è la solita Vigàta, ma uno sperduto paesino di montagna della Sicilia più segreta dal buffo nome di Mascalippa... Tra misteriose uccisioni di animali, ragazze troppo silenziose e troppo intriganti e il finto rapimento di una bambina, quello che risulta sempre familiare è l'incorruttibile carattere di Montalbano, con qualche intemperanza giovanile in più...

Non avevo mai letto nulla di Andrea Camilleri. E di questo un po' me ne vergogno. Ma un giorno, mentre ero nel mio solito giro in libreria (giro che diventa sempre più raro vista la mancanza di piccioli e visto anche che la mia lista di libri acquistati cresce sempre di più ed è giunta l'ora di ridurla) mi sono soffermato su questo libro: La prima indagine di Montalbano di Andrea Camilleri. Folgorazione. Il mio sesto senso mi dice che è arrivato il momento di leggere qualcosa di Camilleri e mica una cosa qualsiasi, bensì proprio la prima indagine del celebre Commissario Montalbano. Detto fatto, l'ho acquistato. Povere le mie tasche... E così, dopo aver gustato questi tre racconti lunghi, non posso dire altro che Camilleri è uno scrittore straordinario: ironico (ridevo da solo come un matto), pieno di trovate divertenti, appassionante come i migliori romanzi gialli, ti fa usare il cervello e ti senti accompagnare lo stesso commissario Montalbano nelle sue particolari indagini. Dalla lettura di Camilleri traspare il suo grande amore per la Sicilia (lui è originiario di Porto Empedocle nell'agrigentino) e ti fa vedere il lato buono della Sicilia stessa, che nella realtà non è tutta mafia e omertà ma invece un popolo di gente onesta che combatte per affermare la propria libertà e legalità. Grande Camilleri, non vedo l'ora di assaporare altre sue appetitose opere come, ad esempio, La scomparsa di Patò.