venerdì 17 giugno 2022

[Recensione] La pazienza del ragno - Andrea Camilleri

 


LA PAZIENZA DEL RAGNO || Andrea Camilleri || Sellerio || 2004 || 255 pagine

«Può un omo, arrivato oramà alla fine della so carriera, arribbillarsi a uno stato di cose che ha contribuito a mantiniri?». Il commissario Montalbano sente il peso degli anni. E della solitudine. Si intenerisce, mentre cerca le parole e i gesti che lo nascondano agli altri; le parole che facciano barriera. Ascolta la voce di dentro. Si interroga: «Era solo un omo che aviva un pirsonale criterio di giudizio supra a ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. E certe volte quello che lui pinsava giusto arrisultava sbagliato per la giustizia. E viceversa. Allura, era megliu essiri d'accordo con la giustizia, quella scritta supra i libri, o con la propia cuscenza?». Il dilemma è da tragedia greca. Ma qui, nella malinconia e negli addolcimenti pudichi di una maturità giunta quasi al consuntivo, non l'eccezionalità dell'eroe importa; ma l'integrità di un individuo normale, che gli adempimenti dell'ufficio mette in rapporto con la falsità «politica», con la personale ricerca della franchezza, e con l'accertamento (se non pubblico, almeno privato) della verità. Montalbano si confronta pure con le convenzioni romanzesche del genere giallo. Per sottrarsi al «mestiere»: moralista senza moralismi, vulnerato dalla ingiustizia e dalla «libertà» di rapina governativamente legalizzata e accasata; e investigatore in servizio straordinario nel romanzo, che metaforiche «ferite», date o ricevute, fa pulsare nel non detto delle emozioni e nel clamore dello scandalo. La pazienza del ragno è un giallo anomalo. Senza «delitto» e spargimenti di sangue. A meno che delitto cruento non venga considerato lo splendore di vite costrette a consumarsi e a sprecarsi nell'odio. Nell'attesa di una catarsi che, accompagnata dalla solidale e indulgente compassione di Montalbano, metta in calma le coscienze e le riposizioni nel gioco delle parti: dopo che l'agitazione «teatrale» della «ragnatela», pazientemente tessuta dall'odio, ha esaurito la funzione strategica di «menzogna» che sulla scena ha portato, irretendolo, il vero colpevole.

Recensione

Montalbano è stato ferito nel romanzo precedente (Il giro di boa) e lo ritroviamo ancora convalescente coi ricordi della sua permanenza in ospedale dopo essere stato operato per l'estrazione di un proiettile. La sua eterna fidanzata Livia si è pure presa le ferie per stargli accanto e i loro litigi sono quasi tutti i giorni (ecco forse perché vivono distanti, anche per evitare di bisticciare). Mentre tenta di recuperare a casa, viene chiamato per un caso di rapimento: una ragazza non si trova più ma solo il suo motorino. A capo delle indagini non c'è lui ma un collega, lui fa diciamo da aiutante (senza fare troppi sforzi fisici).

Scopro che Adelina, la cameriera/cuoca del commissario, non sopporta Livia e infatti quando Livia è a casa del commissario Adelina scompare (gelosetta, eh?).

Anche questo caso mi è piaciuto, forse più deboluccio a livello di trama rispetto agli altri, ma scorre come il mare dove Montalbano si fa il suo bagnetto (e se lo fa anche stavolta, rischiando di morire annegato e raffreddato!).