martedì 13 aprile 2021

[Recensione] Letteratura palestra di libertà - George Orwell

 


LETTERATURA PALESTRA DI LIBERTÀ || George Orwell || Mondadori ||  1 ottobre 2013 || 272 pagine

Che cosa spinge gli uomini a scrivere? Leggere è davvero un hobby costoso, destinato alle élite e non alle masse? E ancora: qual è il legame tra linguaggio e azione politica, quale il confine tra arte e propaganda? Letteratura palestra di libertà raccoglie numerosi scritti degli anni Trenta e Quaranta - alcuni tradotti per la prima volta in italiano - nei quali Orwell affronta, da un originalissimo punto di vista, il senso della letteratura e del rapporto con i libri: dalla propria "vocazione" per la scrittura ai ricordi di un'esperienza di lavoro in libreria, all'analisi dell'opera di grandi scrittori quali Dickens, Kipling, Eliot, Greene. In queste pagine Orwell unisce l'esegesi dei testi alla rievocazione di episodi personali, a riflessioni più generali sulla propria opera e quella di altri artisti, regalandoci tra l'altro un non convenzionale ritratto di sé e dei propri gusti. Con uno stile inimitabile, tra il saggio e il giornalismo, che sa essere insieme limpido e brillante, piano e profondo, mostra al lettore l'inestricabile connessione che lega la letteratura alla vita e alla libertà dell'individuo. 

RECENSIONE

Questo libro è stato il mio primo acquisto libresco del 2016. Entrato (per caso) in una libreria, dopo aver analizzato quasi ogni angolo del luogo stipato di libri, stavo per acquistare Il ballo della Némirovsky quando il mio sguardo è stato colpito dal titolo vicino Letteratura palestra di libertà (chiaramente si capiva che era un saggio e non un romanzo). Quando poi scoprii che era una raccolta di articoli di George Orwell su libri, librerie e scrittori, la scelta è stata immediata e senza ripensamenti (cara Irène Némirovsky non avercela a male, tanto ti leggerò presto, e poi ho da poco divorato Suite francese). Ecco perché mi piace entrare in libreria, non sono io a scegliere i libri, sono loro che scelgono me, ricordatevelo!
Ho passato delle piacevoli ore nel leggere questi saggi di Orwell, tra l'altro da poco avevo riletto e ri-gustato 1984.
In "Ricordi di libreria" l'autore ci narra il suo breve periodo da aiutante libraio nel 1934 a Londra alla Booklovers' Corner di South End Road, Hampstead (tutt'oggi visitabile). Ciò che colpisce, oltre le descrizioni delle bizzarrie dei clienti della libreria, è scoprire che anche nel '34 i classici erano poco considerati e acquistati, mentre si preferivano le cosiddette "letture leggere" come racconti polizieschi e romanzi rosa.
In "Charles Dickens" Orwell critica la letteratura dello scrittore inglese e notiamo che lo conosce anche troppo bene, visto che ci riempie, anzi, ci valanga di tutti i suoi personaggi tanto che nelle note è stata necessaria una sorta di legenda per capire tale personaggio a quale opera di Dickens facesse parte (soprattutto per me che fino ad oggi ho solo letto Grandi Speranze e Canto di Natale). Mentre scriveva questo saggio apprendiamo che Orwell ha finalmente capito di essere un socialista democratico e che aborrisce le strategie staliniste, e per questo è stato messo al bando da molta sinistra britannica. Le critiche che rivolge a Dickens hanno un'impostazione di tipo politico - sociologica cui si accompagna una grande tensione morale. Traspare il suo amore per questo autore, ma nel frattempo ci mostra tutti i suoi difetti dai quali emerge il suo forte senso morale che gli consente di travalicare le ideologie e arrivare così diritto al cuore della gente "popolare".
In "Dentro la balena" Orwell critica Henry Miller, autore del romanzo Tropico del Cancro. Lo considera uno scrittore atarassico ed egocentrico, icona della passività e del disimpegno. E per capire il motivo per cui lui ami questo autore ci presenta, in breve, tutta la storia letteraria inglese che abbraccia circa un periodo di quarant'anni. Uno dei saggi di questa raccolta più importanti e interessanti.
In "Rudyard Kipling" Orwell analizza la poesia della difficile figura di Kipling (interessante la sua idea sull'onestà che deve avere un critico letterario e, in primis, uno scrittore).
In "T. S. Eliot" Orwell recensisce delle poesie di Eliot, autore col quale ha un rapporto conflittuale. In lui non condanna l'opzione religiosa in sé quanto l'elemento volontaristico e inautentico che essa comporterebbe riflettendosi negativamente sul prodotto artistico.
In "Recensione di Graham Greene - Il nocciolo della questione" Orwell lo critica similmente a come fece con il gruppo di Auden: la presenza di una "tesi" preconcetta che prevarica gli aspetti artistici, ovvero lo scrupolo di assecondare un'ortodossia (qua religiosa) che mutila la libertà dello scrittore.
In "Buoni brutti libri" Orwell definisce tal genere di libri come "gradite oasi nella memoria, angoli di quiete in cui la mente va a vagare in momenti liberi".
"Libri contro sigarette" vuole essere una simpatica risposta che Orwell darà a un suo amico che disse: "Quelli come noi non possono permettersi di spendere dodici e sei per un libro!". E dimostrerà come leggere possa essere anche un'attività totalmente gratuita (vedi biblioteche pubbliche).
In "La politica e la lingua inglese" Orwell si muove su due linee: nella prima affronta opzioni di gusto e nell'altra l'autonomia intellettuale del singolo.
In "Confessioni di un recensore" Orwell, in modo evidentemente umoristico, ci narra della pesante routine giornaliera del suo lavoro da scrittore.
"Perché scrivo" è un autoritratto di Orwell ricco di spunti. Egli ci parla della politica come di una sgradevole ma ineluttabile costrizione dei tempi, cui lo scrittore contemporaneo deve assoggettarsi. Interessanti le due asserzioni su cui si dovrebbe riflettere: la qualità idiosincratica delle scelte politiche di Orwell e la discriminazione finale tra l'agire politico e la difesa della propria "integrità estetica e intellettuale".
Infine in "Gli scrittori e il Leviatano" troviamo un Orwell malato e che ha completato la prima stesura di quello che sarà il suo più celebre romanzo ovvero 1984. In questo suo ultimo saggio l'autore esprime una fiera rivendicazione della libertà dell'artista.
Concludo con una frase del mitico Orwell: "la scrittura è potere".