Non era un uomo, eppure era molto simile a un uomo. Era alto uno e novanta, e certi uomini sono anche più alti; aveva i capelli bianchi come quelli di un albino ma la faccia era leggermente abbronzata, e gli occhi di un azzurro pallido. La struttura del corpo era oltremodo esile, le fattezze delicate, le dita lunghe, sottili, e la pelle quasi traslucida, priva di peli. Il volto faceva pensare a un elfo.
Sulla Terra si fa chiamare Thomas Jerome Newton, ma in realtà non è un essere terrestre, bensì un extraterrestre in missione segreta sulla Terra. Scopriremo che è stato mandato da noi per studiarci, ma egli si ambienterà così bene che prenderà un brutto vizio: quello del bere alcol, fino a ubriacarsi. Newton è un genio ed è un bravissimo scienziato, tanto è vero che realizzerà delle invenzioni che lo faranno diventare in pochi mesi miliardario e tenterà di ricostruire la sua navicella spaziale per andare a prendere i (pochi ormai) antheani superstiti e metterli in salvo da noi, sulla Terra. Ma ben presto i servizi segreti sospetteranno di lui, fino all'arresto (non aggiungo altro per non rovinarvi la storia).
Con questo racconto Walter Tevis riesce in modo efficace a mostrarci il concetto di alienazione nella società post-moderna e post-industriale. E ci lancia un monito: con l'alieno proveniente da Anthea, un pianeta molto lontano da noi, dove fa sempre freddo e non si può più vivere perché i suoi abitanti si sono combattuti in una guerra nucleare spaventosa che sta rischiando di estinguerli. Il monito è proprio questo: rischiamo di fare noi stessi quella stessa fine. Walter quindi è molto chiaro: se continuiamo a farci le guerre, rischiamo di auto-estinguerci per sempre.