martedì 2 febbraio 2021

[Recensione] Quintetto di Buenos Aires - Manuel V. Montalban

 


QUINTETTO DI BUENOS AIRES || Manuel V. Montalban || Feltrinelli || 1 giugno 2001 || 376 pagine

Lo zio d'America, che nelle famiglie spagnole non manca mai, incarica Carvalho di andare in Argentina a cercare il figlio Raul, cugino di Pepe, volontariamente desaparecido dopo essersi salvato durante la dittatura militare.
Carvalho parte, convinto di immergersi nell'appassionata atmosfera del tango; si ritrova invece calato in una realtà ben diversa e sconcertante.
Gli basta contattare amici ed ex compagni di lotta di Raul, perché il groviglio degli eventi lo travolga. La Buenos Aires descritta da Montalban è epica e tragica insieme, profonda e cialtrona, una delle città più complesse e contraddittorie dei giorni nostri, una società che deve rigenerarsi dopo un lungo periodo di lutti oscuri, ma dove forse c'è ancora spazio per la poesia.

RECENSIONE

Mi piacciono i romanzi con protagonista gente che fa indagini, alla Sherlock Holmes per intenderci. Quindi preferisco i detective privati rispetto ai poliziotti, forse perché i detective, in un certo senso, hanno più libertà. Primo romanzo che leggo con protagonista il detective Carvalho, e primo libro di Montalbán che divoro. E devo dire che è stata una lettura davvero piacevole e positiva. Ventesima indagine del nostro Pepe, che deve allontanarsi dalla sua amata Barcellona per sbarcare in Argentina, a Buenos Aires. Qua deve rintracciare suo cugino, Raul, su incarico di suo zio. E il Nostro scopre la vera faccia della capitale argentina: altro che tango, Maradona e desaparecidos, vi trova una città deprimente e affollata di fallimenti, ognuno con un segreto nascosto nell'armadio. Carvalho conoscerà pittoreschi personaggi che ci regaleranno una diversa visione dell'Argentina. Per fare un esempio di personaggi strambi che il nostro detective incontra, c'è un tale che si professa essere il figlio (illegittimo) di Borges.
Per capire quanto immenso sia Montalbán, ecco come ci descrive il suo detective: «La verità è questa. Ho un’anima marginale. La mia fidanzata era una puttana da telefono, una squillo. Il mio consulente tecnico, cameriere, cuoco e segretario, era un ladruncolo di macchine che si chiama Biscuter. Il mio confidente spirituale e gastronomico è un vicino di casa, Fuster che è anche il mio amministratore. Amministratore di quel poco che mi può amministrare. Mi piacciono le famiglie impossibili. Detesto quelle possibili. […] Detesto le famiglie possibili vive. Le famiglie morte, quelle le adoro». Un'ironia tagliente e sferzante riempie ogni pagina di questo avvincente noir, che vi lascerà incollati e deliziati alle pagine (la parte ambientata al ristorante coi cuochi che litigano è da incorniciare), e poi Carvalho non è un semplice detective, è soprattutto un gran lettore e un gran filosofo di tendenza cinica e scettica. Grande amanta del buon cibo e dei buoni vini, egli stesso si definisce un “marxista” della corrente gastronomica. Ciò che lo rende un filosofo a tutti gli effetti sono senz’altro le sue “sentenze”; infatti, la forma letteraria preferita da Carvalho è quella utilizzata dai suoi colleghi più antichi: la brevitas dei dicta. Ecco alcuni esempi tratti da questo romanzo: «Mi sento sicuro solo al ristorante»; «È il ciclo della vita. Le colombe mangiano vermi, noi mangiamo le colombe e i vermi mangiano noi»; «La politica è sicura solo quando smette di essere politica e si trasforma in boxe»; «I vincitori opprimono la memoria dei vinti, e quando i vinti riescono a recuperarla, la memoria non è più quel che era». E ancora l'autore non manca di elencare nella storia tanti romanzi e tanti autori (Borges vince su tutti, stracitatissimo), e poi, per concludere, la stranezza più forte di Carvalho: lui brucia i libri che ha letto. Un genio, Montalbán!