mercoledì 10 giugno 2020

[Recensione] La gita a Tindari - Andrea Camilleri

Titolo: La gita a Tindari
Autore: Andrea Camilleri
Editore: Sellerio
Serie: Commissario Montalbano #5
Collana: La memoria #462
Pubblicazione: 18 febbraio 2000
Genere: giallo
Pagine: 291
Prezzo: 10 euro

Quarta di copertina
Sta invecchiando il commissario Montalbano? No, non è questo. È l'amarezza per un caso dai retroscena sconcertanti e orrendi. È il saluto del nuovo secolo a questo Maigret siculo, più colto, più teso e irregolare. Egli indaga tra l'immaginaria Vigàta e Tindari, il promontorio a picco sul mare «col piccolo, misterioso teatro greco e la spiaggia a forma di una mano con le dita rosa». Un triplice omicidio è avvenuto - un giovane dongiovanni che viveva al di sopra dei suoi mezzi apparenti, due anziani pensionati seppelliti in casa che improvvisamente decidono una gita a Tindari. Li collega, sembra, solo un condominio. Ma Montalbano ha una maledizione, sa leggere i segni che provengono dall'antichissimo che vive nel modernissimo continente Sicilia: lo aiutano un vecchio ulivo contorto, la sua squadra, la svedese Ingrid, un libro di Conrad, e un Innominato senza pentimento.

Recensione
Il nostro commissario siciliano stavolta dovrà indagare su ben tre omicidi: un giovane don Giovanni e una coppia di coniugi che non uscivano mai di casa partiti per una gita a Tindari. Tutti e tre abitavano nello stesso condominio: solo una incredibile coincidenza?

Montalbano, in questo romanzo, sta affrontando la cosiddetta crisi di mezza età: quasi cinquantenne si ritrova a riflettere sul suo rapporto con Livia e gli piomberà sulla testa un caso di sparizione di due coniugi che erano andati a una di quelle gite dove ti vendono padelle e pentole e un brutale omicidio sul portone di casa di un giovane. Mentre si ritrova a riflettere sui due casi (apparentemente slegati fra loro) riesce a trovare forse la futura moglie a Mimì e si ritroverà, suo malgrado, immischiato in un brutto giro di Mafia.

Camilleri nei primi romanzi di Montalbano continua a piacermi: ha sempre uno stile direi magico, che riesce a farti amare la terra sicula, ti fa odorare il mare (non a caso ogni volta che leggo una storia di Montalbano mi viene voglia di tuffarmici!), il cibo (quasi sempre a base di pesce fresco appena pescato e mangiato dalla nostra trattoria di fiducia, da Calogero!) e ti fa riflettere sulla fragilità della nostra umanità: non importa che tu sia un uomo di legge o un mafioso, ognuno di noi può sempre sbagliare. Bellissime le scene in cui il commissario, per riflettere e staccare dal lavoro, si arrampica su di un albero secolare e lì si addormenta, oppure si isola in uno scoglio a due passi dal faro e osserva il mare azzurro. La trama ti appassiona, non vedi l'ora di scoprire chi ha commesso i delitti e perché ma, a un certo punto, ti lasci quasi abbandonare alla storia, dimenticando quasi quello che sta succedendo. Montalbano sembra perdersi in questo spazio in cui vive, dimenticando spesso la sua Livia (arrabbiata perché non lo chiama spesso e se lo fa è per chiedergli qualcosa) e buttandosi a mare a farsi una nuotata ristoratrice. E poi la sua squadra funziona alla perfezione: Catarella che fa delle figuracce col suo linguaggio particolare ma è generoso e di cuore, Mimì che gli sta sempre accanto nonostante le sue sfuriate, e Fazio diligente e preciso. Alla fine del romanzo il nostro commissario sembra quasi stare per superare quel limite che non si dovrebbe superare, ma per fortuna i suoi colleghi gli sono accanto e ritorna in se stesso. L'orrore che scoprirà può distruggere anche un buon uomo come il Nostro!


Beh, se non ci sei stato, a Tindari devi andare!

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