venerdì 5 giugno 2020

[Recensione] Diceria dell'untore - Gesualdo Bufalino

Titolo: Diceria dell'untore
Autore: Gesualdo Bufalino
Editore: Bompiani
Pubblicazione: 31 marzo 2016
Prima pubblicazione: 1981
Genere: romanzo
Pagine: 222
Prezzo: 12 euro

Quarta di copertina
Nel 1946, in un sanatorio della Conca d'oro - castello d'Atlante e campo di sterminio - alcuni singolari personaggi, reduci dalla guerra, e presumibilmente inguaribili, duellano debolmente con se stessi e con gli altri, in attesa della morte. Lunghi duelli di gesti e di parole; di parole soprattutto: febbricitanti, tenere, barocche - a gara con il barocco di una terra che ama l'iperbole e l'eccesso. Tema dominante, la morte: e si dirama sottilmente, si mimetizza, si nasconde, svaria, musicalmente riappare. E questo sotto i drappeggi di una scrittura in bilico fra strazio e falsetto, e in uno spazio che è sempre al di qua o al di là della storia - e potrebbe anche simulare un palcoscenico o la nebbia di un sogno...

Recensione
Amore e Morte, Eros e Thanatos, secondo Bufalino. Ed è subito capolavoro.

Era veramente divenuto un gioco, alla Rocca, volere o disvolere morire, in quell'estate del quarantasei, nella camera sette bis, dove ero giunto da molto lontano, con un lobo di polmone sconciato dalla fame e dal freddo, dopo essermi trascinata dietro, di stazione in stazione, con le dita aggranchite sul ferro della maniglia, una cassetta militare, minuscola d'abete per i miei vent'anni dai garretti recisi. [...] Un re forestiero m'era venuto ad abitare sotto le costole, un innominabile minotauro, a cui dovevo giorno per giorno in tributo una libbra della mia vita. [...] Così non c'era giorno o notte, alla Rocca, che la morte non m'alitasse accanto la sua versatile e ubiqua presenza.
Come si evince dai passi che qua sopra vi ho citato, il tema ricorrente in questo straordinario romanzo di Gesualdo Bufalino è la morte, anzi, citando proprio l'autore stesso: "è una tresca di amore e di morte". E continua l'autore siciliano: "si racconta la convivenza di alcuni reduci di guerra moribondi in un sanatorio della Conca d’Oro, nel ’46. Fra il protagonista e una paziente dagli ambigui trascorsi (Marta) nasce un amore, puerile e condannato in partenza, più di parole che d’atti, il cui sbocco è una fuga a due senza senso. Egli, rientrando nella vita di tutti, vi porta un’educazione alla catastrofe di cui probabilmente non saprà servirsi, ma anche la ricchezza di un noviziato indimenticabile nel reame delle ombre."
La particolarità dello stile narrativo di Bufalino è una sontuosità linguistica baroccheggiante in cui traspare l'ampia cultura dell'autore che spesso utilizza termini desueti.
Sinceramente non saprei recensire un libro di tale spessore e grandezza, per questo vi dico soltanto: leggetelo.

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