sabato 8 dicembre 2018

Ricordi

Si sedette sul bordo del molo nuovo. Posò il bastone e passò in rassegna il contenuto della sua borsa. Un libro dalla copertina rossa tutta sgualcita. Un paio di occhiali. Un panino imbottito con mortadella e provolone affumicato. Delle gomme da masticare. Il biglietto del bus. Dopo una breve pausa, inforcò gli occhiali e iniziò a leggere, lanciando di tanto in tanto un’occhiata alla barca col pescatore che rassettava le reti. Tirava una leggera brezza che gli scompigliava i radi capelli bianchi. Il campanile della chiesa suonò nove rintocchi secchi. L’uomo prese una matita dalla tasca destra e sottolineò una frase, poi infilò il pollice nel libro e rimase in silenzio ad osservare il placido e azzurro mare. 
Quanti ricordi mi affiorano alla mente; tanti, troppi.  
Maledetta artrosi, ti fai sentire. 

Quando passava il gelataio, intorno alle 10.30, egli si risvegliava. Ciò che gli piaceva era il trillo del campanello del mastro gelataio, un suono squillante e delicato. Era domenica e i bambini che uscivano dalla chiesa lo circondarono e iniziarono ad assaporare quei magici e freddi coni zuccherosi. Dei bambini amava i loro innocenti sorrisi e la loro grande e contagiosa energia. Aveva sempre desiderato averne uno. Ma non venne. Sua moglie, Clara, aveva lasciato questo mondo dieci anni fa. Fu un dolore incolmabile. E così da quel giorno, ogni mattina, ritornava nello stesso luogo in cui, insieme a lei, avevano condiviso piacevolmente le mattinate leggendo e osservando il mare Mediterraneo. E ogni volta che ci pensava si rattristava. 

Mentre riprendeva a leggere, udì un allegro vociare. Si volse verso sinistra e vide arrivare un corteo matrimoniale: gli sposi davanti e gli invitati dietro, tutti vestiti a festa. Il fotografo pilotava un drone volante, che aveva installata una telecamera al centro che registrava tutto il bel paesaggio marino. Lui si alzò lentamente e si mise di lato, continuando a osservare la scena. Guardò la sposa: sorrideva beata, felice finalmente di esser giunta al giorno tanto desiderato da una vita. La riconobbe. Era stata una sua alunna. Lui ricambiò il sorriso. Lo sposo era radioso e la prese in braccio. L’anziano si accese un toscano e, passato il corteo, ritornò al suo posto. Assaporò l’ammezzato e ripensò a sua moglie il giorno del matrimonio: anche lei era radiosa, e anche lui la prese in braccio proprio lì, in quel punto, sul molo nuovo. 
Quanto eravamo felici, Clara, quanto mi manchi adesso…

Il resto della giornata continuava a passarla in completa solitudine. Comprava il giornale, il pane, rientrava a casa e si cucinava un piatto di spaghetti al ragù. Poi un’insalata e del tonno in scatola. Riposino pomeridiano. Accendeva la tv e si bombardava dei soliti talk show e dei vari Vita in diretta assortiti. Ammazzatine varie, fughe di casa, criminali e pirati della strada. 
Che schifo, che mondo di matti!
Verso le 18 veniva a fargli visita il vicino di casa, anche lui un professore in pensione. Parlavano di politica, di calcio e dei pettegolezzi del quartiere. 
E parlavano per un paio d’ore, fino a che veniva il momento di cenare. Di solito pane e formaggio oppure una caponatina che sua sorella Tana gli portava un giorno sì e uno no. E poi la lettura del giornale.  
Ancora morti ammazzati, che tempi!

Stava leggendo per la quarta volta Le mille e una notte, e non si stancava mai di immergersi in quelle atmosfere orientali. Gli piaceva lo stratagemma di Shahrazad, ovvero quello di rimandare la sua condanna a morte narrando al sovrano, ogni sera, una storia che prontamente interrompeva sul più bello e costringeva così il re a rinviare la sua condanna a morte per continuare a sapere come finiva la storia. Ma la storia non finiva mai, visto che dentro la storia la furba ragazza ne faceva iniziare altre e altre ancora. 
Quel mattino il caldo si faceva sentire, essendo da poco iniziato giugno. La solita barca col pescatore che rassettava le reti, il solito ragazzo che faceva defecare il suo cane nel mezzo della spiaggia, i soliti giovinetti che facevano gare coi loro scooter fiammanti. E i soliti (ma piacevoli) ricordi della moglie Clara che gli narrava lentamente tutti i racconti del già citato Le mille e una notte. Salvatore immaginava che fosse sua moglie la principessa Shahrazad, e anche per questo amava ripercorrere con la fantasia quel libro magico. Ella era stata una cara amica prima, una splendida moglie poi. Si conobbero quando erano fanciulli e giocavano per strada: lei aveva due simpatiche trecce bionde coi fiocchi rossi, un viso pieno di lentiggini e un sorriso contagioso, e lui se ne innamorò subito. Giocavano a nascondino, a un due tre stella, alle cinque pietre. E ogni volta che gli capitava di sfiorare le sue mani, arrossiva come un pomodoro maturo. E lei gli sorrideva e gli regalava un bacino sulla guancia. Poi, crescendo, arrivò la guerra: e i due ragazzi si dovettero dividere, senza sapere se si sarebbero più rivisti. Egli ricorda ancora le lacrime di lei, la sua bellissima silhouette col vestito a fiori che lo aveva abbracciato. Si erano promessi che, se fosse tornato vivo, si sarebbero sposati. E lui teneva sempre con sé una foto di lei, sorridente come non mai. La guardava sempre quella foto, era la sua unica ancora di salvezza nel deserto africano. 

Anche se le bombe gli cadevano a pochi metri, lui continuava a pensare a lei, solo per lei voleva vivere. Poi fu arrestato e preso prigioniero per due anni. Quando lo liberarono, era dimagrito di quasi venti chili. Lei non lo riconobbe. Riconobbe solo gli occhi impauriti e tristi. Il giorno del matrimonio fu il più bello della loro vita: erano entrambi vivi e felici, poteva desiderare finalmente un futuro felice e pieno di belle speranze, prima fra tutte una prospera prole. Ma non venne neanche un figlio. La cosa li ferì a morte. Ma poi si abituarono e iniziarono a riprendere ad uscire e a passare più tempo possibile insieme. Poi venne la malattia di lei: un terribile cancro allo stomaco. Dopo cinque anni morì. E lui ogni giorno andava a farle visita al cimitero, prima di sedersi al molo e a leggere il loro libro preferito. 

Odiava il cimitero: tutte quelle povere persone che ti guardavano dalle foto ovali, quasi tutti in bianco e nero, coi lumini accesi sotto i volti smagriti e quasi sempre seri. Lui voleva farsi bruciare e disperdere le ceneri in mare, non gli andava di pensare che da morto sarebbe rimasto chiuso in una bara per anni e anni in quegli orribili cubicoli di cemento. La morte… un pensiero fisso ormai, non poteva non pensarci. 
Chissà se domani sarò vivo, pensava ogni mattina dopo essersi svegliato. 

Mi scusi, signore, ha da accendere?
Certo, ecco qua.
Grazie.
Prego, si figuri. Straniero?
Beh diciamo di sì, sono un italiano emigrato in Germania. Vengo ogni anno qua a Donnalucata in estate.
Ah, in quale paese vive?
Monaco. 
Le manca la Sicilia, non è vero?
Tantissimo, non può immaginare quanto. La propria terra non si scorda mai.
È sposato?
Sì, con una bella tedesca e con tre figli pestiferi. Eccoli laggiù che fanno il bagno tuffandosi dagli scogli.
Molto belli. Beh, le auguro delle felici vacanze.
Grazie e buona giornata, scusi il disturbo.
Nessun disturbo, arrivederci.
Toh, legge Le mille e una notte? È il libro preferito di mia figlia Carmela, sa? Ha pure illustrato le varie storie. Va matta per le avventure orientali. 
Allora sua figlia ha buon gusto.
Arrivederci.

Passeggiò lentamente per la spiaggia di ponente. Si fermò ad osservare le ugghie che gorgogliavano da sotto terra, ne assaggiò l’acqua: fresca e limpida. In quella spiaggia, narra la storia, erano sbarcati i turchi per riprendersi i propri feudi dai Normanni, e apparve una Madonna a cavallo che li scacciò via per sempre dalla Sicilia, la Madonna delle Milizie! E lui stava calpestando proprio quell’angolo di storia antica, mista tra verità e leggenda.
Chissà come avrei reagito di fronte a un attacco turco.
Un corridore lo sfiorò, poteva avere una trentina d’anni. 
Eh, anche io adoravo correre, ma ormai le mie anche non me lo permettono più. 
Sparì verso il sole che stava tramontando, e come si suol dire rosso di sera bel tempo si spera.

Lo trovarono lì sulla spiaggia, col viso sorridente. Sicuramente l’ultimo ricordo era stato per sua moglie Clara, quel lontano giorno quando la prese in braccio al molo nuovo di Donnalucata.  

Francesco Camagna


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