lunedì 11 novembre 2019

[Recensione] Caino - José Saramago

Titolo: Caino 
Titolo originale: Caim
Autore: José Saramago
Traduttrice: Rita Desti
Editore: Feltrinelli
Data di pubblicazione: febbraio 2012
Anno di uscita originale: 2009
Genere: romanzo ironico
Pagine: 142
Prezzo: 8 euro

Quarta di copertina
A vent'anni dal "Vangelo secondo Gesù Cristo", José Saramago torna a occuparsi di religione. Se in passato il premio Nobel portoghese ci aveva dato la sua versione del Nuovo Testamento, ora si cimenta con l'Antico. E sceglie il personaggio più negativo, la personificazione biblica del male, colui che uccide suo fratello: Caino. Capovolgendo la prospettiva tradizionale, Saramago ne fa un essere umano né migliore né peggiore degli altri. Il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. È un dio che rifiuta, apparentemente solo per capriccio e indifferenza l'offerta di Caino, provocando così l'assassinio di Abele. Il destino di Caino è quello di un picaro che viaggia a cavallo di una mula attraverso lo spazio e il tempo, in una landa desolata agli albori dell'umanità. Ora da protagonista, ora da semplice spettatore, questo avventuriero un po' mascalzone attraversa tutti gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall'Eden, le avventure con l'insaziabile Lilith, il sacrificio di Isacco, la costruzione della Torre di Babele, la distruzione di Sodoma, l'episodio del vitello d'oro, le prove inflitte a Giobbe, e infine la vicenda dell'arca di Noè. Riscrittura ironica e personale della Bibbia, invenzione letteraria di uno scrittore nel pieno della maturità, compone un'allegoria che mette in scena l'assurdo di un dio che appare più crudele del peggiore degli uomini.

Recensione
Saramago, in quest'opera, ci mostra (coi suoi occhi) l'ingiustizia del Dio dell'Antico Testamento, e si potrebbe definire un romanzo-saggio che non fa altro che parodiare la Bibbia e potrebbe far indispettire i lettori credenti. Per svelarci questo dio cattivo, violento, indifferente, cinico, spesso ozioso e silente, che lascia morire persone innocenti (vedi i bambini di Sodoma e Gomorra o il diluvio universale) l'autore utilizza come protagonista Caino il fratricida, colui che ha ucciso suo fratello Abele. Sarà infatti lui il protagonista del romanzo il quale non farà altro che viaggiare nel tempo e vivere, in prima persona, tutte le più importanti vicende dell'Antico Testamento, dalla Torre di Babele al Diluvio Universale, dalle disgrazie occorse a Giobbe ad Abramo a cui viene ordinato di immolare sull'altare il suo unico figlio, Isacco.

Bisogna fare una premessa: Saramago ha sempre utilizzato uno stile umoristico nelle sue opere (tanto per citarne una Noè dimentica fuori dall'arca l'unicorno!) ed effettivamente anche in questa non ha fatto eccezioni. Egli inverte i ruoli del buono e del cattivo, rende responsabile dio (scrive appositamente tutti i nomi propri senza la maiuscola) della morte di Abele e lo accusa di risentimento, cioè Caino uccide il fratello per legittima difesa, e lo uccide anche e soprattutto perché non può uccidere Dio stesso. Saramago, con questo pretesto di un Caino errante nel mondo, ci presenta la vera natura del creatore, ovvero un essere violento, addirittura un assassino.
Questa provocante opera creata da Saramago ci mette di fronte a una domanda non scontata: ma il Dio della Bibbia è violento? Perché Egli ha preferito il sacrificio di Abele e non quello di Caino? Nel dramma di Caino c'è il nostro stesso dramma, quello che ci porta a reagire a un mondo che non ci pare logico come noi pensiamo dovrebbe essere. Quello che non ci dice Saramago (o che lui stesso volutamente vuole sottacere) è che il testo biblico non fa altro che mostrarci la nostra condizione umana, fatta di errori, di fragilità, di violenza, di cattiveria. Quello che, secondo me, manca (e si percepisce grandemente leggendo questo romanzo) all'autore è proprio la fede, senza di essa infatti non vi può essere alcun rapporto col Divino Creatore: «Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base a essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora» (Eb 11,4). L'autore della Lettera agli Ebrei, San Paolo, infatti ci spiega un poco prima: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio» (Eb 11,1-2). Dio è oltre le nostre percezioni, le nostre idee, i nostri ragionamenti umani. L'errore che compie Saramago è proprio questo: cercare di razionalizzare Dio con la sua impostazione umana, e questo è l'errore di chi non ha fede. Per questo egli ce lo descrive come uno di noi: assassino, violento, cattivo, geloso, spietato, indifferente, eccetera. L’unico possibile rapporto con Dio e la sua promessa avviene attraverso la fede che apre gli occhi verso ciò (Colui) che è invisibile e apre il desiderio verso ciò (Colui) che non è afferrabile. Ci viene in aiuto ancora San Paolo al nostro dubbio: ciò che rende gradito a Dio un sacrificio è la fede, cioè l’apertura del cuore a Dio invisibile, la trascendenza del cuore rispetto al mondo delle cose visibili. Ciò che rende gradito un sacrificio è il fatto che il cuore dell’uomo compia una scelta che trascende il mondo (e i vantaggi del mondo) per rischiare il dono gratuito rivolto a Colui che non vedo e che non controllo – che in nessun modo potrei vedere o controllare.

Per questo motivo, per questa visione atea o personalizzata di Dio (niente di più sbagliato), io non ho apprezzato questa visione di Saramago. Anche lo stile di scrittura che ha utilizzato è straniante: un vero e proprio fiume interminabile di parole, un “flowing of thoughts” alla maniera joyciana, intervallato da una scarna punteggiatura. Le idee ed i messaggi che le parole ci trasmettono seguono il ritmo della riflessione personale, dove talvolta non c’è né coerenza né coesione. Nessun segno paragrafematico fa da spia per i discorsi diretti, quasi a voler svuotare di significato i dialoghi e a voler simboleggiare che le parole volano nel vento e restano di fatto inascoltate. Peraltro la maggior parte dei nomi propri, dio compreso, non iniziano con lettera maiuscola: dio e gli uomini sono posti sullo stesso piano sia a livello comportamentale che a livello letterario, non c’è preminenza nè subalternità.

Di Saramago consiglio assolutamente La zattera di pietra e Cecità.

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